f 1_intangibili
intangibile #07
Scontato, banale ma a volte raggelante come la premessa di un testo a noi noto. Quando vedo
reazioni categoriali, sempre uguali a stesse, mi sale un medesimo sospetto: cosa c’è
in realtà dietro a quello specchio? E accantonando paura, affanno, vuoto mi chiedo se c’è un
antidoto, un lasciapassare o se già quella che vedo riflessa è
la cura,
l’antidoto per vincere altra paura, affanno, vuoto.
Ci nutriamo di certezze, eterni intervalli di posizionamento, perciò meglio delle piante ci adattiamo.
L’idea
di formalizzare un dato percepito, di concettualizzare una sensazione, di
definire, estrapolare il vettore tra la riflessione di un impressione ricevuta
e la sua trasmissione nel meccanismo/gesto della descrizione/parola ha nella
vita degli umani la sua evoluzione ultima nello stile, tutto ciò che percepiamo interlacciato
con l'istinto, una storia, un imprinting scaturisce i nostri
propri elementi di espressività basica, dai più reconditi e automatici ridere, piangere a quelli sempre
più mediati, dal camminare, alle elaborazioni esistenziali, il risultato da adito alle formulazioni sul nostro gusto e sul nostro stile. >>>
Una piattaforma, un
inconsueto taglio orizzontale,
un orizzonte visto come “fetta”, brano di un imperturbabile
presente
al quale si cerca di “vischiosizzare” una realtà di per se sfuggente.
Il dubbio eterno: indugiare, fermarsi o generare un
“pacchetto” a posteriori,
senza scie e strascichi.
Per quale motivo fermarsi a fare i conti?
E' talmente palese, specularmente irridente:
c’è chi già
paga suo malgrado, inconsapevolmente, senza peso.
<<< Analizzando
al dettaglio lo stile nei suoi elementi, svestendolo della sua ultima pelle ed
entrando nell’universo degli elementi costitutivi emerge il reticolo dei
passaggi veicolanti che sono la trasgressione di quello che saranno le norme a
posteriori che daranno luogo al gusto. E’ nello stato di sospensione, nella
nudità di fatto, nella mancanza di gusti secondari - stato che nella livellante routine imbrigliata da sollecitazioni, da elastici viene anestetizzato - dove è presente l'elemento basico, l'humus
costituito da sensazioni prime. In questo ambito si generano le pieghe di un tessuto apparentemente
omogeneo, in queste pieghe si hanno
le
visioni, solo quelle che non assecondano ciò
che si sta vedendo e solo quelle che non traggono esperienza a cascata di ciò che si è già visto.
Un mondo
periglioso perciò, privo di preconcetti, di scialuppe di salvataggio. Una parentesi dove si trovano solo soluzioni scollate dal contesto, dove ogni percorso di assecondamento è bandito in quanto inusuale, gratuito. E' bivio attidutinale che se si imbocca porta solo ad altri bivi della stessa natura, deviante, che solo fortuna (caso), e perizia riescono a riportare all'interno dei parametri di strade percorribili.
La trippa,
croce e delizia (belly of an architect!).
Questa “Crux”, a parte
l’esasperazione dei chiodi
e di una ferita / taglio / cesura nulla ha del
simbolo
ancestrale è solo etereo/ammasso della prosaica corporeità del presente.
Un tappeto
che non vola ma non nasconde polvere,
un quasi svolazzante arazzo, sberleffo di nudità, di
ludibrio privato,
della divaricazione del nostro essere.
Sarebbe comodo, molto comodo, funzionale, pacificatore, tranquillizzante fare un bel pacco super condensato e poi sentirsi dimentichi, alleggeriti, altri. Il "miracolo" dell'evaquazione, si tira lo sciaquone senza gesti di meraviglia su ciò che si fatto e si procede. La cosa insipida è che la sensazione di un miracolo analogo alberghi parallela in noi come fossimo l'illuministico tutt'uno macchina di
de La Mettrie.
Unico rapporto con la "cosa" è quello recuperabile dal portatore/osservatore della cosa stessa, dell'artificio spacchettato asciugato dalle metafore e pieno di se stesso.
© ardio riendila